IL SEGNO DI PACE
NELLA MESSA DI PAOLO VI
di
L. P.
“
En touto nika”
– “
In hoc signo
vinces” – “
In questo segno
vincerai”.
Narra, Eusebio da Cesarea (
Vita di
Costantino), che l’Imperatore e molti dei suoi soldati, il
giorno precedente la battaglia di Saxa Rubra (Ponte Milvio – 28 ottobre
312) nell’ora meridiana, videro sopra il sole il segno crociato
con la scritta greca citata, e, la notte successiva, egli ebbe la
visione di Gesù che gli ordinava di apporla, su labari e
stendardi, nella forma monogrammatica che adesso conosciamo :
XP – il così detto Chi/Rho,
le prime iniziali di CHRISTOS.
Ci si permetta una digressione per rammentare come, nel 1689,
Gesù, tramite santa Margherita M. Alacoque, fece pervenire al re
di Francia, Luigi XIV, l’ordine di fissare ed issare sugli stemmi
regali e sulle bandiere, lo stemma del Suo Sacro Cuore: replica esatta
della vicenda costantiniana, ma con un re che, diversamente da
Costantino, non si curò di corrispondere e di obbedire.
Le conseguenze, in Francia, si avvertirono 100 anni dopo, nel
1789, quando la monarchia fu travolta dall’operazione satanica della
rivoluzione, ordita dai circoli degli
Illuminati,
lasciando, materialmente e simbolicamente, la testa sulla ghigliottina.
Torniamo a Costantino e poniamo attenzione al fatto che il motto non
dice “
simbolo” ma “
segno”, differenza sostanziale che
qualsiasi studente accorto conosce, in quanto il simbolo reca seco –
per etimologia:
syn-bolon =
getto insieme - una polisemia tal che il leone dantiano, ad esempio (
Inf. I, 45) che, nel contesto
locale, rappresenta la superbia, in altri ambiti ed aree può
indicare fierezza, regalità, audacia, dominio.
Il segno, invece, specialmente se inserito nel tessuto teologico e
liturgico del Cattolicesimo – il caso che interessa - assurge a
significato univoco ed indeclinabile. Lo stesso segno, infatti, fuori
contesto religioso, tradotto in termini simbolici può diventare
il distintivo dell’addizione, il grafico dei punti cardinali, o la
configurazione cartesiana d’una funzione, o l’emblema di qualche gruppo
politico.
La Croce, che è la memoria della Passione e Morte di
Gesù, è il
segno per
eccellenza. Esso si traccia sulla fronte del battezzando, non
quale simbolo ornamentale e cerimonialistico, ma quale visibile
formalità che adempie il comando di Cristo: “
Euntes ergo docete
omnes gentes baptizantes eos in nomine Patris, et Filii et Spiritus
Sancti”(
Mt. 28, 19).
È il segno che sigla e sancisce la riconciliazione del peccatore
con il Signore, è il segno che rende sacra e piena la
confermazione annunziata nel crisma santo, è il segno con cui si
dà viatico a chi sta varcando la soglia dell’eternità,
è il segno che santifica e rende indissolubile il vincolo
d’amore dei coniugi, è il segno che eleva alla dignità
sacerdotale l’uomo chiamato da Dio, è il segno che si fa
tutt’uno con il suo Signore nelle specie del pane e del vino.
Il segno della Croce è il sigillo di tutti i sacramenti.
Esso, inoltre, è terribile presenza davanti a cui il demonio
fugge, ed è il segno che concede “
pace” al
defunto.
Con il segno della Croce apriamo la giornata e la chiudiamo, e sempre
con esso e in esso, professiamo la fede cattolica, la speranza e la
carità.
Con il segno della Croce è la stessa Vergine Maria che, a
Lourdes, apre la recita del suo Rosario, il segno che
apparirà nel cielo degli ultimi giorni, è l’annuncio
della seconda venuta di Cristo. “
Et tunc parebit Signum
Filii hominis in caelo” (
Mt.
24, 30).
“
Ecce, in Cruce totum constat
non est alia via ad vitam, et ad veram internam pacem, nisi via sanctae
Crucis” scrive, commosso, l’autore della
Imitatio Christi (II, XI, 3) -
ecco, tutto s’impernia nella Croce e non v’è altra via verso la
vita e verso la vera pace interiore, se non quella della santa Croce -
.
I Crociati, i Cavalieri Templari, i Teutonici, i Gerosolimitani
una volta, e poi gli ordini monastici e secolari, si sono sempre – fino
a qualche tempo fa – distinti esteriormente con questo santo e
venerando segno. Era – dìcasi
era
– il segno del dolore sacro, della fede e della speranza posto negli
ospedali, il segno della giustizia nei tribunali, il segno della
sapienza nelle scuole, il segno di protezione nelle edicole sparse
lungo le strade, il segno svettante sui campanili e il primo ad
apparire al pellegrino.
La ragione illuminata del pensiero debole e cretino ha creduto bene
disfarsene sfrattandolo dalla società civile e contagiando, in
questa operazione di “
rivoluzione
culturale laicistica e democratica”, anche la Chiesa Cattolica,
con esiti davvero assurdi come la bara di Paolo VI, esposta sul sagrato
di San Pietro, priva del santo segno o come quello di un giovine
sacerdote che, durante le esequie di un suo compagno d’infanzia,
osò porre il blasfemo: “
Dove
eri o Dio?” imitando l’analoga domanda posta da Benedetto XVI
nella sua visita ad Auschwitz.
E mentre gli uomini della Gerarchia estendono il dialogo fino al punto
di abiurare all’impegno di evangelizzare gli Ebrei –Bagnasco
dixit! – la cultura e il potere talmudico rispondono
gentilmente a modo loro continuando l’assalto della ragione illuminata
alla fede cattolica mediante la tecnica del “
messaggio subliminale” che, per lo
più, è iconografico.
Prendiamo i filmati d’azione poliziesca che registi e produttori ebrei
ci scaricano quotidianamente sugli schermi tv. Fate caso: non
c’è assassino, prostituta, ricattatore, violento, stupratore e
maniaco, bianco o nero che sia, che non porti una Croce appesa a
girocolli d’oro o tatuata su braccia o schiena o petto, quasi a
dimostrare che la feccia della società, che la benemerita
polizia calvinista/puritana combatte e sconfigge, è
cristiana. Se c’è un pedofilo, state sicuri che sarà un
sacerdote cattolico che consuma il delitto in chiesa.
Sulla Croce si combatte, quindi, la guerra Satana/Gesù.
Ma torniamo al tema più pertinente.
Quando il sacerdote concede l’assoluzione “
nel” nome e non “
col” nome della S. S. Trinità
– così intendendo essere il peccatore ritornato nel seno del
Padre - concede contestualmente la
pace
del Signore conseguente effetto del pentimento.
E proprio su tale aspetto –
la pace
del Signore - è necessario fare sosta per una
riflessione pertinente al rito della Santa Messa.
La pace che Gesù promette i suoi discepoli non è,
infatti, quella delle “
cose di
quaggiù” ma la pace del regno di Dio, la pace dello
spirito, la pace che deriva dall’essere in grazia e dal corrispondere
alla Sua volontà.
“
È ‘n la sua volontade
è nostra pace” afferma Piccarda Donati (
Par. III, 85), ricalcando
S.Th. II IIae q. CIV art. 1 e
segg.
Ma senza spendere ulteriori parole per testimoniarlo e
dimostrarlo, è sufficiente ricordare, in proposito, le parole di
Gesù per comprendere la differenza tra una pace terrena
politica, diplomatica - quella che la Gerarchia da tempo, con
l’iniziativa tossica e nefasta di Assisi 86/2002/2011, sta sterilmente
inseguendo – e la pace interiore dello spirito. “
Vi lascio la pace, vi
dò la mia pace; ve la dò, non come la dà il mondo”
(
Gv. 14, 27).
Una pace che non è nemmeno quella del mondo.
Pertanto
Dominus
locutus est, causa finita est.
Poi è successo qualcosa.
Quando nel 1964 Paolo VI, rendendo esecutivo l’art. 54 della
Costituzione “
Sacrosanctum Concilium”,
insediò il “
Consilium ad
exsequendam Constitutionem de Sacra liturgia”, cioè per
la revisione liturgica della Messa rivolta, tra l’altre cose, in lingua
volgare, scelse, quale coordinatore e “
perito”,
Mons. Annibale Bugnini, eminente personaggio conciliare, da tempo in
sospetto e sulfureo odore di militanza massonica (
BUAN – matricola 1365/75),
così come è sempre stata nota la partecipazione, a questa
commissione, di rappresentanti anglicani e luterani che, usualmente,
sono iscritti alla massoneria.
Non è compito di questa ricognizione esaminare criticamente
tutti i punti di deriva e di scasso dottrinario contenuti nel
cosiddetto
NOVUS ORDO MISSAE
– 1969, perché a ciò provvidero lo
scrittore/apologeta Tito Casini con una pungente operetta, “
La tunica stracciata”, 1967 , il
coraggioso Don Luigi Villa ed i cardinali Ottaviani e Bacci con una
precisa, rigorosa ma inutile analisi critica, non tralasciando di
citare la voce di
SI SI NO NO.
In questo breve esame si vuole evidenziare un momento della Santa
Messa, o meglio, un gesto “
rituale”
– che di rituale non esprime alcunché – quello che, nella
fattispecie viene eseguito dai fedeli su invito del celebrante: “
Come figli del Dio della Pace, datevi un
segno di pace”. “
Un”
segno? Perché “
un segno”
e non “
il segno”, quasi a
credere ad un’ampia possibilità di scelta nella
disponibilità del repertorio pacifista?
Quali sarebbero i segni di pace, non i simboli, tra cui sceglierne
uno?
Il bacio di galateo o d’amore o quello volante soffiato dalla mano,
l’abbraccio, la pacca sulle spalle, il segno V, l’indice e il pollice
congiunti a formare un cerchio, l’annuire del capo, la manina agitata,
l’inchino buddista, la mano sul cuore, il baciamano, un sorriso, la
stretta di mano?
Forme tipiche del linguaggio della gestualità, un codice, in
sintesi.
Quasi dimenticando – la Gerarchia e i “
riformatori”
– che il cristiano ha il suo “
segno”
unico e distintivo –
il santo segno
della Croce, quello che ha assicurato “
la pace” vera.
Si è andati ad assumere e praticare - tanto per dare un tocco
salottiero al Sacro Rito ridotto, d’altra parte, a un banchetto,
lusingando i tanti progressisti di sagrestia e gli stessi protestanti,
o per non apparire fuori orbita dei tempi - un gesto/simbolo non solo
banale, inespressivo, ma sottilmente deviante ed alieno:
la stretta di mano.
Questo gesto, da che mondo è mondo, caratterizza, per lo
più, un incontro, una nuova conoscenza, un augurio a rivedersi,
livelli di valori banali e di semplice corredo formale e di
comportamento. È, in definitiva, un simbolo. Ma chi conosce il
mondo nascosto cosiddetto sapienziale e la storia del simbolismo sa
perfettamente che questo gesto diventa, in particolari circostanze,
indiziario rivelatore di una ritualità oscura, occulta ed
esoterica, un cosiddetto “
segno di
passo”.
È la stretta di mano che l’adepto di Mithra effettua con il
mistagogo;
la stretta di mano dello ierofante di Eleusi con la ierodula
iniziata agli ultimi “
misteri
sessuali”;
la stretta di mani incise o scarnificate col cui sangue, che vi
si mescola, i neofiti, addivenuti nel patto scellerato,
testimoniano e giurano un impossibile tradimento;
la stretta di mano dei soci della elitaria e potente
società universitaria americana “
Skulls and bones” con la quale si
sigla l’impegno indelebile per una fratellanza tendente al potere
politico/finanziario;
la stretta di mano degli aderenti ai gruppi razzisti, quali il
Ku Klux Klan;
la stretta di mano e la catena delle mani con cui, nella seduta
spiritica, si evocano, contro il comandamento di Dio, le anime dei
trapassati, col manifestarsi di fenomeni di satanismo;
la stretta di mano gelida e feroce del Commendatore al mozartiano Don
Giovanni.
E, per concludere, la classica e dissimulata stretta di mano del
riconoscimento massonico la quale, stante la sospetta appartenenza a
questo ordine satanico del predetto riformatore BUAN, sembra essere
proprio quella indiziaria del sovvertimento liturgico.
Se qualche valore la stretta di mano possa esprimere, esso si riferisce
al costume della civiltà agricola, quello di sancire
l’adempimento di un patto, o di un accordo, proprio con la stretta in
predicato. Un valore che possiamo definire
etico. Ma non è certo questo
valore e questo livello simbolico che si addicono al Sacrificio
della Croce rinnovato nella Santa Messa.
Qui i gesti liturgici – le fasi, le rubriche, gli interventi -
diventano segni perché non tendono a un contesto etico ma, senza
equivoci si elevano al livello della trascendenza e vi confluiscono.
Quale valore possa rivestire una stretta di mano in un sacro evento
come la Santa Messa, ove sono estranei il quotidiano, l’ordinario
e la banalità, è tutto da dimostrare.
Per che cosa e per quali virtù intrinseche possiamo assimilarla
ad elemento pregno di sacralità innervabile nel rito della Santa
Messa?
Forse perché, talora, essa stretta è il significante di
una rappacificazione?
Ma questo cerimoniale tipicamente laico non può assurgere a
segno di sequela cristiana e, quand’anche lo si svolga in nome di
Gesù, non diviene
segno
da inserire nel rito e nel memoriale della Passione e Morte di Cristo,
in quanto rimane simbolo seppur nobilitato dall’essere inserito in un
contesto cristiano.
È, perciò, uno scandalo che si esteriorizza in quel
movimento frenetico e festaiolo, da sala ricevimenti, e che vede
adulti, giovani, bambini allacciare quante più mani possibili,
attraversare la navata in lungo e in largo col corredo di un
chiacchiericcio, di sorrisi beoti, e di bon ton, e di carezze e di
ammennicoli da pettegolezzo. È, forse, il momento più
atteso. Strette di mani mollicce, pendule, molitorie, ossute,
sguscianti, a tenaglia, ondeggianti per minuti interi, sostitutive
dell’unico segno di pace, il divino
segno
di Croce!!
Aberrante, dissacrante e banale cultura!
Se si pensa che, poi, la maggior parte di quei “
cristiani” assumeranno la Divina
Particola con le mani, c’è da piangere e da pregare Dio
perché li perdoni.
Quando taluno mi si rivolge tendendo la mano, cortesemente ma con
decisione, rifiuto segnandomi con il segno della Croce,
provocando con ciò grande stupore o, talora, risentimento
dell’altro, al quale, concluso il sacro rito, spiego il motivo del mio
atteggiamento. Spesso riesco a convincere, così come spesso
l’altro, pur non sapendo obiettare, rimane del proprio parere.
Accanto a questo deprecabile e biasimevole esempio di sovvertimento
liturgico, va annoverata quella maniera, quella posa che, introdotta
dai movimenti “
carismatici –
pentecostali - neocatecumenali” –
eversori della dottrina e della liturgia
– si appropria, in nome di una presunta legittimazione sacerdotale, del
gesto/segno unico ed
esclusivo del ministro celebrante, la recita cioè del
Pater che egli eleva al Signore a
braccia
aperte, sollevate, a
ricordo del gesto di Mosè che, nella battaglia contro gli
Amaleciti, sosteneva gli Israeliti pregando proprio in questa posa,
tale che, fin quando le mani erano sollevate, Israele vinceva,
diversamente si capovolgeva l’esito della battaglia. A provvedere
contro tale eventualità, due suoi aiutanti gli
sorreggevano le braccia (
Es.
17, 11-12).
E così, i novatori, al grido “
Siamo
tutti sacerdoti” e predicando la “
partecipazione attiva” hanno, di
fatto, espropriato le esclusive prerogative del ministro-celebrante,
facendole proprie e sconvolgendo e ribaltando i ruoli, come bene
si osserva in questo esempio, con i fedeli impegnati, chi con la
braccia in basso, chi a metà corpo, chi a palme aperte addossate
al petto e molti tenendosi per mano a formare catene né
più né meno che in una seduta spiritistica, ed oscillando
come in una balera o su una spiaggia brasiliana.
Un esempio che non è l’unico, potendosi pescare in
quell’alluvione di novità pagane e sacrileghe che sta
sommergendo l’identità della Chiesa.
Si pensi, tanto per dirne uno, alla messa – lo scrivo in minuscolo in
quanto illegittima e blasfema – concelebrata, il 20 agosto 2012, con i
dirigenti della massoneria, in grembiule, compasso e maglietto, in una
chiesa del Brasile – parrocchia di Nossa Senhora da Conceicao, diocesi
di Pesqueira – da un indegno, dannato prete: Gerardo de Mangela Silva.
Exsurge Domine, rumpantur
ilia proditoribus nostris!
Tratto da: UnaVox